Ne sentiamo parlare sempre più spesso: sono diverse le destinazioni turistiche che fanno ricorso a tasse portuali – sulle navi o sui passeggeri – nel settore delle crociere.
Di recente Hawaii, Norvegia, Messico e Skagway, in Alaska, hanno introdotto tasse sulle navi da crociera che attraccano nei loro porti per aumentare le entrate o per arginare l’impatto dei flussi turistici.
Alle Hawaii, per esempio, il gettito fiscale derivante dalle navi da crociera viene destinato all’ambiente, che si tratti della gestione dei parchi o di infrastrutture.
Lo scorso anno il governo del Messico ha imposto tasse sulle crociere; in questo caso la Florida-Caribbean Cruise Association ha contribuito a negoziare un’aliquota d’imposta inferiore a quella annunciata inizialmente.
Le nuove tasse sulle crociere hanno però portato Clia, l’associazione internazionale delle compagnie crocieristiche, a presentare un ricorso contro l’imposta di Skagway e a minacciare di citare in giudizio le Hawaii. «Se l’industria crocieristica non contestasse questa sovrattassa, altri Stati e comuni potrebbero sentirsi incoraggiati ad adottare a loro volta simili provvedimenti illegittimi, con il risultato di tariffe di crociera esorbitanti e in definitiva insostenibili», ha dichiarato un portavoce dell’associazione.
C’è chi sostiene però che si tratta di trovare un equilibrio: molte destinazioni vogliono continuare ad accogliere i turisti per trarne beneficio economico, ma vogliono anche preservare i residenti locali. Le motivazioni sono che: il potere di attrarre turisti o visitatori verso una destinazione turistica è strettamente legato all’ospitalità della comunità locale, alla sua cordialità e gentilezza nei confronti dei visitatori. Inoltre, c’è chi considera che i turisti che arrivano in una città a bordo di una nave da crociera spendono tendenzialmente meno sulla terraferma rispetto ad altri tipi di viaggiatori, anche solo per il fatto di non pernottare in loco. Ne consegue che le tasse sulle crociere diventano un modo per compensare questo gap.
C’è però un aspetto che non va trascurato: le compagnie hanno diverse opzioni quando costruiscono i propri itinerari, quindi le crociere potrebbero iniziare a evitare le destinazioni soggette a tasse.
C’è infatti molta concorrenza tra i porti per far attraccare le navi da crociera. In America Latina, per esempio, il Messico compete con il Guatemala. Nei Caraibi, tutte le isole sono in competizione tra loro. Quindi imporre una tassa disincentiva le visite al proprio Paese.
Lo ha sottolineato anche Clia: tra le “conseguenze indesiderate per le comunità locali”, ci sono “la spesa inferiore da parte dei crocieristi quando il biglietto costa di più e una riduzione delle visite delle navi da crociera”.
Le tasse potrebbero anche incentivare le compagnie di crociera a dedicare più giorni alle loro destinazioni private o alla navigazione.
Infine, se si tratta di tasse minime o imposte da una singola destinazione dell’itinerario, le compagnie di crociera potrebbero assorbire i costi. Se invece ciascun porto imponesse la propria tassa, le somme non sarebbero riassorbite dalle compagnie e finirebbero per gravare sul costo del biglietto per la crociera.
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